Esistono varie ragioni per le quali un lavoratore è spinto ad aprire la partita iva, anche se già dipendente. Ecco come regolarsi se si lavora per la PA
I lavoratori neoassunti presso un’azienda, una grande o piccola realtà commerciale finanziaria o commerciale, si trovano, a pochi giorni dall’inizio delle loro attività, a sbrigare il primo obbligo di legge nei confronti dell’impresa stessa: ossia la compilazione della dichiarazione con la quale si rende noto che il reddito che si andrà formando da quella assunzione sarà l’unico intestato al dipendente, oppure si affianca ad altre entrate percepite.
Ovviamente si tratta di una indispensabile regolarizzazione fiscale, sia sul piano delle trattenute fiscali che sul prelievo in sede di prelievo dell’imposta sulle persone fisiche. D’altronde, si fa riferimento ad una realtà che non costituisce affatto un’eccezione, cioè – detto in parole franche – che si abbia un secondo lavoro. La flessibilità odierna del mercato del lavoro ha combaciato con una circolarità onerosa verso i datori di lavoro, è vero, ma anche con una forte ed erosiva disistima delle retribuzioni.
Dagli impegni verso la comunità, ossia il pagamento delle tasse, ai consumi più essenziali verso sé stessi e i familiari; è sempre più difficile far rientrare anche le necessità di base nei ranghi dell’attuale busta paga di un dipendente inquadrato in una modesta categoria; specie poi se la busta paga, dentro un contesto domestico, è una soltanto.
Allora, è più che verosimile che si cercherà una seconda attività che possa compensare quelle lacune redditizie da colmare secondo un livello minimo di sussistenza. Oggigiorno, l’opportunità più accessibile è rappresentata dall’apertura della partita IVA, in linea generale l’incubatore della flessibilità professionale. Come sanno i lavoratori forfettari, i primi anni di svolgimento delle attività autonome sono supportati da interessanti agevolazioni fiscali.
Ma cosa succede se ad aprire la partita IVA è un dipendente della Pubblica Amministrazione? È noto come le probabilità di sicurezza occupazionale (il classico posto fisso) sono generalmente garantite nel pubblico, ma al contempo esse sono accompagnate da buste paga spesso molto basse nei confronti degli impiegati. La volontà di valorizzarsi con altri fronti compensativi è più che lecita.
Non tutti i dipendenti pubblici possono “aspirare” alla partita IVA. Sì, senza eccezioni, per ogni lavoratore che ricopre un ruolo part-time, ossia con un orario pari o inferiore al 50% delle 18 ore a settimana; nel full-time, è consentito ad infermieri e insegnanti: i primi possono dedicarsi ad una seconda attività fuori dal loro orario di lavoro, mentre i secondi ne hanno facoltà soltanto se l’attività si relaziona con la materia insegnata (un insegnante di economia può dedicarsi al lavoro di commercialista, ad esempio).
La seconda attività può essere collocata presso altre PA purché non interferisca con la principale. Poi vi sono 4 casi che sono vere e proprie chiavi di accesso: se si partecipa limitatamente ad imprese agricole a conduzione familiare; previa autorizzazione, come amministratore di condominio; collaborazioni a giornali, riviste, pubblicazioni varie; nella vendita di proprie invenzioni e brevetti industriali. Al di fuori di tali casistiche, è a discrezione del datore di lavoro concedere l’opzione della partita IVA al lavoratore.
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