Il futuro del sistema previdenziale è sempre meno roseo, ma le rendite della pensione di scorta possono aiutare molto. Ecco di cosa si tratta.
Tra le note più dolenti per i lavoratori italiani c’è sicuramente l’argomento “pensioni”. Data la denatalità che da anni caratterizza il Paese e considerando che le pensioni vengono pagate da chi è attualmente occupato, le somme percepite dai pensionati si assottigliano inevitabilmente e le previsioni per il futuro non lasciano molto spazio all’ottimismo.
La soluzione adottata dal governo Meloni, di penalizzare le uscite anticipate in modo da prolungare il più possibile, gli anni di servizio dei lavoratori, non potrà essere efficace per sempre. Se la crisi demografica dovesse continuare così, entro trenta o quarant’anni il sistema pensionistico potrebbe fallire definitivamente.
“Per chi entra ora nel mercato del lavoro l’età pensionabile normale raggiungerebbe i 70 anni nel Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e anche 74 anni in Danimarca”, si legge nel Rapporto ‘Pensions at a glance’ dell’Ocse. Per tutte queste ragioni, quindi, si dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’aiuto che possono fornire le cosiddette “pensioni di scorta”.
Rendite per integrare la pensione: tutto ciò che conviene sapere
Esistono varie tipologie di forme pensionistiche complementari. Innanzitutto, queste vengono finanziate dal lavoratore stesso e, nel caso si tratti di un dipendente, anche dal datore di lavoro. Per i lavoratori dipendenti è possibile integrare i contributi anche attraverso il Tfr (Fondo del trattamento di fine rapporto).
Vediamo ora, in generale, quali sono i modi per ottenere la pensione di scorta:
- fondi pensione chiusi o negoziali: consistono in forme previdenziali aggiuntive istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito degli accordi nazionali, di settore o aziendali
- fondi pensione aperti: sono istituiti da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (Sgr) e società di intermediazione mobiliare (Sim)
- piani individuali pensionistici (Pip): si tratta di contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale
- fondi pensione preesistenti: risalgono a prima del Decreto legislativo 1241 del 1993 e sono diversi rispetto ai fondi istituiti dopo quell’anno. Non necessitano ad esempio di intermediari per gestire le risorse. L’adesione a questi fondi è collegata ad accordi o contratti aziendali o fra aziende.
Entro sei mesi dall’assunzione, il lavoratore può optare per varie alternative:
- lasciare il Tfr al datore di lavoro
- versare le quote Tfr future al trattamento pensionistico integrativo
- decidere anche successivamente di destinare tali quote alla pensione complementare. In questo caso il Tfr maturato resta presso il datore di lavoro e verrà percepito solo alla fine del rapporto di lavoro
- non fare una scelta. In questo caso il datore di lavoro trasferirà il Tfr alla forma previdenziale collettiva prevista dagli accordi collettivi. Se non sono previste forme pensionistiche complementari collettive, il datore di lavoro trasferirà il Tfr accumulato alla forma pensionistica complementare istituita presso l’Inps.