Cosa succede se un soggetto non vuole ottenere l’eredità lasciatagli da un defunto? Ecco come funziona la rinuncia all’eredità.
La rinuncia all’eredità è l’atto con cui il potenziale erede dichiara di non accettare l’eredità e dunque di non voler subentrare nella posizione giuridica del de cuius. Si tratta di un diritto tutelato dalla legge italiana che si può esercitare con un’espressa dichiarazione scritta. Tale dichiarazione va presentata di fronte a un notaio o presso la cancelleria di uno specifico tribunale.
Ai sensi dell’articolo 519 del codice civile, la rinuncia all’eredità può concretizzarsi solo con questa dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Notaio o cancelliere devono poi inserire correttamente la rinuncia nel registro delle successioni.
In pratica, il tribunale competente è quello nel cui circondario si trovava l’ultima residenza in vita del defunto. Per formalizzare la comunicazione è necessario presentare alcuni documenti. Ci vogliono la carta d’identità e il codice fiscale del dichiarante, il codice fiscale del defunto, una copia conforme del testamento (se presente) e l’originale certificato di morte.
Si rinuncia all’eredità per varie ragioni. Quando per esempio l’eredità consiste in debiti, non conviene accettarla e farsi carico della passività del defunto. Poi, possono entrare in gioco altre ragioni, anche di natura morale, familiare o economica.
Rinuncia all’eredità: come funziona e i tempi per presentare la dichiarazione
Secondo la normativa vigente, possono presentare una rinuncia all’eredità soltanto “coloro nei confronti dei quali vi è vocazione e delazione a seguito dell’apertura della successione”. Sostanzialmente, hanno quindi diritto alla rinuncia solo i cosiddetti chiamati all’eredità. I chiamati non possono comunque essere soggetti incapaci d’agire (che vanno distinti in soggetti totalmente incapaci e parzialmente incapaci).
Si tratta del caso di minori e interdetti, che possono rinunciare all’eredità solo se legalmente rappresentati e dopo l’autorizzazione del giudice tutelare. E poi degli emancipati e gli inabilitati, che per rinunciare devono essere assistiti da un curatore e devono aver ottenuto un’autorizzazione del giudice tutelare.
Ovviamente, anche i nascituri, in quanto soggetti capaci a succedere, se concepiti all’apertura della successione, possono rinunciare all’eredità. Va detto poi che la legge italiana non fornisce alcun tipo di precisazione in merito al tempo di rinuncia dell’eredità. Per questo, i limiti di presentazione della rinuncia sono consuetudinari.
I tribunali stabiliscono che la rinuncia vada quindi effettuata entro dieci anni dall’apertura della successione. In caso contrario non è considerata valida.
Questo spazio temporale è desunto dal termine previsto dalla legge, all’articolo 480 del codice civile, per accettare l’eredità. Ci sono delle eccezioni. La rinuncia può per esempio essere presentata entro tre mesi se il chiamato all’eredità è in possesso di alcuni beni del defunto. E in questo caso potrebbe anche non essere più possibile rinunciare all’eredità.
Quando il potenziale erede è già in possesso dei beni ereditari senza averne fatto l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione, il tribunale può impedire che avvenga la rinuncia. Il limite di dieci anni può saltare anche se il tribunale, interpellato da un creditore del defunto o da un altro avente diritto, fissa un termine inferiore.
Inoltre, se ci sono creditori che possono aver intenzione di recuperare un debito del defunto attraverso l’asse ereditario, il giudice può disporre che il chiamato all’eredità non possa rinunciare al suo diritto.