Una delle principali questioni riguarda la differenza di trattamento tra uomini e donne nei percorsi lavorativi e nelle retribuzioni.
In Italia, il tema del pensionamento delle donne continua a essere un argomento di grande rilevanza e dibattito. Sebbene negli ultimi anni siano stati compiuti passi avanti verso una maggiore parità di genere, ci sono ancora sfide significative da affrontare per garantire un sistema pensionistico equo e sostenibile per le donne nel paese. Oggi è dura la polemica che la Cgil porta avanti con il Governo Meloni.
Una delle principali questioni riguarda la differenza di trattamento tra uomini e donne nei percorsi lavorativi e nelle retribuzioni. Le donne in Italia sono spesso penalizzate da carriere lavorative più frammentate, interruzioni legate alla maternità e discriminazioni salariali. Questi fattori contribuiscono a una minore accumulazione di contributi previdenziali rispetto agli uomini, portando a pensioni mediamente più basse e a una maggiore vulnerabilità economica nella terza età .
Un altro ostacolo significativo è rappresentato dalla disparità di accesso al mercato del lavoro per le donne, specialmente nelle fasce d’età più avanzate. Molte donne, dopo anni di lavoro, si trovano costrette a lasciare il lavoro prima del pensionamento a causa della mancanza di opportunità lavorative flessibili e dell’assenza di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Ciò può comportare periodi di inattività lavorativa che influenzano negativamente l’entità della pensione.
La Cgil: “Governo Meloni discrimina le donne”
Per affrontare queste sfide, sono necessarie politiche pubbliche mirate e interventi legislativi volti a promuovere l’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro e a garantire una maggiore protezione sociale per le donne anziane. Tra le misure proposte ci sono l’introduzione di quote rosa nei consigli di amministrazione, l’implementazione di politiche di welfare aziendale per sostenere le lavoratrici durante la maternità e l’adozione di politiche attive per favorire il reinserimento lavorativo delle donne oltre i 50 anni.
Secondo i dati forniti dalla Cgil, nel 2024 solo 3760 donne potranno usare Ape sociale, quota 103 e opzione donna: si azzera di fatto qualsiasi forma di flessibilità in uscita, costringendole al pensionamento di vecchiaia a 67 anni.
Secondo il sindacato, il Governo di centrodestra, guidato da Giorgia Meloni, penalizzerebbe così le donne, puntando a far cassa sulle loro pensioni. Questo perché le donne esonerate dalla Legge Fornero saranno pochissime. “Quota 103“, di fatto, riguarderà solo gli uomini. E la stessa Opzione Donna riguarderà appena 250 donne. Stessa cosa su Ape sociale, dove l’aumento dell’età necessaria passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi e impatterà in particolare sulle donne.
La Cgil lamenta l’azzeramento della flessibilità in uscita, ma anche una enorme disuguaglianza sugli assegni Inps: se quelli degli uomini crescono leggermente, per le donne diminuiscono del 17%. Per quanto riguarda le pensioni anticipate, considerando il valore mediano, c’è una differenza di 353 euro: si passa dalle 2.111 euro degli uomini alle 1.758 euro per le donne.