Allo studio anche la previdenza integrativa per i più giovani
Un accompagnamento alla pensione per le donne già a partire dai 61 anni. Ma anche la possibilità di usare la previdenza integrativa per consentire ai più giovani di uscire dal mondo del lavoro a 64 anni. Dal capitolo pensioni spuntano nuove ipotesi di lavoro, mentre il cantiere della Manovra 2024 procede con cautela, in attesa che la Nadef (Nota di aggiornamento al Docuemento di economia e finanza) definisca la cornice delle risorse disponibili.
In particolare, prende forma l’ipotesi Ape Donna, ovvero l’anticipo pensionistico per le lavoratrici, che consentirebbe di ricevere l’indennità di accompagnamento verso la pensione dai 61/62 anni invece dei 63 previsti attualmente. La platea è quella delle donne con una situazione di disagio (licenziate, con invalidità almeno al 74%, caregiver o impegnate in lavori gravosi) e si aggiungerebbe allo sconto già in vigore di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni.
Una soluzione che potrebbe anche mandare in soffitta Opzione donna, una formula introdotta nel 2004 che consente alle lavoratrici di ottenere la pensione di anzianità con requisiti anagrafici più favorevoli, peraltro già fortemente ridimensionata.
Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha assicurato che il governo si impegnerà per consentire l’uscita anticipata dal lavoro alle “donne che hanno un’età ma anni di lavoro che non hanno potuto maturare per varie vicissitudini”.
La media dei contributi versati dalle donne 62enni è di 28 anni. “Questo deve aprire una bella riflessione”, ha detto il leghista.
A certificare il divario di genere anche sul fronte previdenziale è stato l’ultimo rapporto dell’Inps. Malgrado le donne rappresentino il 52% della platea dei pensionati, percepiscono in media un assegno più leggero del 36% rispetto all’assegno percepito dagli uomini.
Una forbice che riflette la carriera lavorativa delle donne, spesso più breve e discontinua. Di conseguenza sono inferiori i contributi versati che alla fine si traducono in pensioni più povere.
Qualche prospettiva di anticipare l’uscita arriva anche per i più giovani. Dal tavolo sulla previdenza promosso dal ministero del Lavoro, è emersa l’ipotesi di utilizzare la contribuzione nella previdenza integrativa per raggiungere la soglia minima e permettere così di uscire già a 64 anni anche a chi ha cominciato a versare dal 1996, dunque con un sistema interamente contributivo.
L’idea è quella di permettere il cumulo della pensione pubblica con le risorse che derivano dalla rendita della pensione complementare. Un mix tra previdenza pubblica e privata per favorire l’accesso dei più giovani alle pensioni contributive.
Del resto lo scenario prospettato dal Consiglio nazionale dei giovani, non lascia spazio all’ottimismo. Secondo il Cng, senza interventi gli under 35 andranno in pensione a 74 anni, con un assegno di appena mille euro.
Per il resto il capitolo previdenziale in manovra dovrebbe limitarsi alla proroga di quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) e dell’Ape sociale. Non partirà dunque nemmeno quest’anno la quota 41 piena tanto cara al Carroccio, cioè la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. È un “obiettivo di legislatura”, ha promesso comunque Durigon.
In questa Manovra c’è spazio solo per le priorità, è il mantra dell’esecutivo. Con il ministero dell’Economia che guida la linea della cautela di fronte a un quadro tutt’altro che roseo. La politica monetaria restrittiva della Bce ha messo il freno alla crescita, è il commento amaro del titolare del Mef Giancarlo Giorgetti. E per un Paese indebitato come l’Italia il rialzo dei tassi significa avere a disposizione “14-15 miliardi in meno”.
Con questo dovrà fare i conti la legge di Bilancio, oltreché sull’esito dei negoziati in corso a Bruxelles sul nuovo Patto di Stabilità, con l’Italia in pressing perché siano esclusi gli investimenti. Almeno sulla riforma, Giorgetti mostra ottimismo. L’accordo “si raggiungerà, se non a ottobre dopo Natale”.
Quello che è certo è che la prossima Manovra prorogherà il taglio del cuneo fiscale, per appesantire un po’ le buste paga dei lavoratori. Dipenderà invece dalle risorse a disposizione se si riuscirà ad abbinarlo a una prima riforma dell’Irpef (con l’accorpamento dei primi due scaglioni in un’unica aliquota al 23%), per evitare che i benefici del taglio contributivo finiscano poi per essere erosi dalle tasse.
Un altro dei capisaldi sarà sicuramente la natalità, un tema particolarmente caro al governo di centrodestra, che ha già sul tavolo una serie di ipotesi, dagli aiuti per le famiglie con almeno tre figli ai bonus per il secondo figlio, fino agli sgravi per le mamme che lavorano.
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