L’apertura della partita IVA è un passo cruciale nella vita di un professionista. Ma sapete quali sono le tasse da pagare? Una guida.
Aprire la partita IVA è un passo significativo per coloro che desiderano intraprendere un’attività imprenditoriale o lavorare come professionisti autonomi. Questo processo può sembrare intimidatorio, ma con la giusta conoscenza e pianificazione, è possibile affrontarlo con sicurezza. Fondamentale sapere quanto andremo a pagare di tasse.
La partita IVA è un codice fiscale univoco assegnato a imprenditori, liberi professionisti e aziende. Serve per identificare il soggetto ai fini fiscali e per gestire le operazioni di fatturazione e dichiarazione dei redditi. Prima di aprire la partita IVA, è necessario decidere il regime fiscale più adatto alle proprie esigenze. Le opzioni principali in Italia sono il regime ordinario, il regime forfettario e il regime dei minimi. Ognuno ha vantaggi e svantaggi in termini di tassazione e adempimenti fiscali.
Per avviare la pratica di apertura della partita IVA, è necessario presentare una serie di documenti, procedendo con la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate. Questo può essere fatto online tramite il portale dedicato o presso gli sportelli fisici dell’Agenzia.
Una volta aperta la partita IVA, è fondamentale tenere una corretta contabilità delle entrate e delle uscite. È importante rispettare tutti gli obblighi fiscali e contributivi previsti dalla legge. Ciò include il pagamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto, nonché il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti. Ecco, parliamo proprio di questo. Quante tasse si pagano una volta aperta la partita IVA?
Partita IVA: quanto si paga realmente di tasse?
Per comprendere appieno il carico fiscale che grava sulle spalle dei titolari di partita IVA, è essenziale esaminare i vari regimi fiscali e successivamente, a seconda della scelta, valutare quali e quanti tributi devono essere corrisposti. Partiamo dall’analisi del regime forfettario per avere un quadro più nitido, poiché presenta il minor numero di obblighi formali.
Introdotto inizialmente con la legge di stabilità del 2015, è un regime speciale, pertanto non è accessibile a tutti. Una serie di condizioni limitative sono imposte: le spese per il personale non devono superare i 20.000 euro, i redditi da lavoro dipendente o da pensione non devono eccedere i 30.000 euro, mentre il totale dei ricavi e compensi non può superare gli 85.000 euro annui.
Questo regime agevolato impone una tassazione unica denominata “sostitutiva“, che sostituisce diverse imposte come l’IRPEF, le addizionali comunali e regionali e l’IVA. L’aliquota varia dal 5% per le startup alle prime fasi fino al 15% negli altri casi. Inoltre, le spese non possono essere dedotte in modo analitico. Chi opta per il regime forfettario è esentato dagli adempimenti IVA, non addebita l’IVA ai clienti, non detrae l’IVA sugli acquisti e non è tenuto a presentare la dichiarazione annuale e le comunicazioni periodiche. È importante notare che dal 1° gennaio 2024 tutti i contribuenti aderenti a questo regime devono adottare la fatturazione elettronica.
Passando al regime ordinario, le cose si complicano notevolmente, soprattutto per quanto riguarda gli adempimenti fiscali, che inevitabilmente comportano costi aggiuntivi. I titolari di partita IVA ordinaria devono affrontare:
– IVA (Imposta sul Valore Aggiunto)
– IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche)
– IRES (Imposta sul Reddito delle Società)
– IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive)
L’IVA deve essere applicata in fattura con aliquote che variano dal 4% al 22%, a seconda del tipo di prodotto o servizio fornito. Tuttavia, è essenziale che questa imposta sia trasferita al consumatore finale. Ad esempio, un negoziante che acquista merce all’ingrosso per 1.000 euro con un’aliquota del 22% dovrà versare 1.220 euro al fornitore.
A livello di IRPEF, si tratta di un’imposta progressiva, con aliquote che variano dal 23% al 43% a seconda del reddito. Anche qui, vanno considerate le addizionali regionali e comunali. Le partite IVA in regime ordinario devono versare l’IRAP, salvo l’esenzione per le persone fisiche introdotta con la legge di bilancio del 2022. L’aliquota standard è del 3,9%, ma può variare a livello regionale.
Per le attività di minori dimensioni, resta il regime semplificato, con le stesse tasse del regime ordinario ma applicando il principio di cassa. In questo caso, i ricavi e i costi sono contabilizzati in base alla data di effettivo incasso o esborso, con limiti di ricavi annui di 500.000 euro per i servizi e 800.000 euro per le altre attività.