La cronaca di un difficile salvataggio nelle acque del nostro mare.
L’emergenza migratoria nel Mediterraneo centrale continua a essere un tema di attualità accesa, con nuovi sviluppi e interventi da parte di diverse organizzazioni no profit. Recentemente, un evento particolare ha attirato l’attenzione: tutto è iniziato quando un gruppo di quaranta migranti ha trovato rifugio su una piattaforma di estrazione del gas, dopo che il loro gommone ha subito un’avaria.
La piattaforma Miskar si erge in mare aperto, situata a circa 125 chilometri dalle coste tunisine: questa struttura imponente, con i suoi container bianchi ben visibili, in circostanze drammatiche, è diventata anche un rifugio temporaneo per chi aveva tentato di attraversare il Mediterraneo. In acqua, di fronte alla difficoltà di navigare in condizioni meteo avverse, i migranti hanno trovato un appiglio in questo avamposto industriale, approfittando della sua presenza per salvarsi.
A questo punto, il segnale di soccorso è stato lanciato: infatti, un aeromobile di una ONG internazionale si trovava nell’area e non ha potuto non notare quella concentrazione di persone in un tratto di mare solitamente molto meno affollato chiamando a se i soccorsi.
La segnalazione di soccorso: un aiuto essenziale
L’operazione di soccorso è quindi entrata in azione grazie all’aereo Sparrow 4 dell’Agenzia Europea della Guardia Costiera, meglio nota come Frontex. Sorvolando l’area di soccorso e salvataggio a sud-ovest di Malta, l’equipaggio avvista i naufraghi sulla Miskar. Con la prontezza dovuta, lanciano un mayday relay, un messaggio di emergenza che amplifica la portata della richiesta di aiuto. Questa comunicazione si rivela fondamentale, poiché attira l’attenzione delle unità navali in zona, pronte a intervenire.
La serata del 9 marzo, il messaggio di soccorso è infine arrivato fino alla nave Life Support, un’imbarcazione dell’organizzazione non governativa italiana Emergency. Su questa imbarcazione, il coordinatore delle operazioni di soccorso, Ani Montes Mier, comunica agli operatori di prepararsi a un eventuale intervento. L’assegnazione di una missione di salvataggio è più di una semplice routine; in casi come questi, si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo per portare soccorso a tutte le persone in pericolo. La preparazione per l’operazione diventa così prioritaria, all’interno di un contesto che evidenzia la complessità delle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo.
La missione della Life Support ha successo
La Life Support è quindi partita da Livorno, con un team composto da 28 persone a bordo, tra cui alcuni giornalisti che seguono da vicino queste operazioni critiche. A questo punto però, il cielo si era già annerito mentre il mare si stava facendo sempre più tumultuoso, segno che l’intervento sarebbe diventato una sfida.
Fortunatamente, tutto si è concluso per il meglio quando l’imbarcazione ed i soccorritori a bordo, forti della loro esperienza, sono riusciti a salvare le persone bloccate sulla piattaforma marittima una dopo l’altra. Si è trattato di un close approach, ovvero un approccio ravvicinato tra la barca in distress e la Life Support, una situazione molto rischiosa”, spiega uno dei partecipanti all’operazione.
Il capitano Domenico Pugliese ha quindi fatto rotta verso Livorno dove, al momento in cui scriviamo queste righe, la nave si sta dirigendo con circa 72 persone in tutto a bordo: “Ci stiamo dirigendo verso il porto assegnato, per la Life Support è la quinta volta che arriviamo a Livorno per lo sbarco. Le condizioni meteo marine sono accettabili, tutto lo staff si sta occupando delle persone soccorse, tutte in salute discreta”, ha detto il capitano. Insomma, una situazione terribile che sembra essersi conclusa bene.