La dichiarazione dei redditi non è un optional: ecco cosa succede al contribuente che omette di presentarla.
Il primo comandamento del contribuente italiano è pagare le tasse. E, dunque, presentare ogni anno una corretta dichiarazione dei redditi. (Discorso a parte, naturalmente, per chi ha solo redditi da lavoro dipendente o da pensione da un unico sostituto di imposta). Cosa succede se, volutamente o meno, si è inadempienti? Ecco cosa dice la legge al riguardo, tra sanzioni, sanatorie e prescrizione.
Il contribuente che non ottempera a tale obbligo incorre nella fattispecie di “omessa dichiarazione dei redditi“, previsto dall’articolo 5 della Legge sui reati tributari. Ciò vale sia per il modello Redditi Persone Fisiche, sia per il modello 730. Inoltre, “l’omessa dichiarazione” può riguardare tanto le imposte dirette (Irpef, Ires, Irap), quanto le imposte indirette come l’IVA. E le conseguenze possono essere molto spiacevoli.
Tutte le conseguenze della mancata dichiarazione dei redditi
Il reato scatta nel momento in cui si verificano due presupposti, uno quantitativo e uno temporale: le imposte evase superano la soglia di 50.000 euro e la dichiarazione non viene presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine.
A tal proposito, giova ricordare che per il Modello Redditi Persone Fisiche, Società di capitali e modello IRAP la presentazione deve avvenire entro il 28/02 dell’anno successivo a quello di scadenza, mentre per il Modello 730 il termine è il 21 ottobre dell’anno di scadenza (se ci si avvale di un intermediario) e per la Dichiarazione Iva non bisogna andare oltre il 29 luglio dell’anno di scadenza.
Come accennato, l’omessa dichiarazione dei redditi è un reato previsto dal d.lgs. n. 74/2000, che punisce “con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte“.
Più nel dettaglio, scatta la reclusione da un minimo di un anno e sei mesi al massimo di quattro anni per chi evade le imposte sui redditi o Iva e non presenta le dichiarazioni relative per imposte evase superiori a 50.000 euro, e la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni al massimo per chi non presenta la dichiarazione di sostituto d’imposta, sempre quando la somma evasa supera i 50.000 euro. Al di sotto di tale soglia, invece, per l’evasore non ci sono conseguenze penali, ma “solo” sanzioni di tipo amministrativo e pecuniario, commisurate alla cifra evasa e all’eventuale reiterazione del comportamento.
Dal ravvedimento operoso alla prescrizione
Se la dichiarazione venisse presentata con un ritardo non superiore ai 90 giorni rispetto alla scadenza, si può sanare la propria posizione attraverso il ravvedimento operoso, compilando il modello 730 o modello Unico e inviandolo all’Agenzia delle Entrate. In questo caso, occorre versare le imposte derivanti dalla dichiarazione e una sanzione ridotta di € 25 (1/10 di € 258 – codice tributo 8911).
Dopo i 90 giorni dalla scadenza, però, il ravvedimento operoso non è più possibile, ma il contribuente può beneficiare di sanzioni in misura fissa (e non proporzionali all’importo evaso). Una linea, questa, adottata per incentivare i pagamenti e ridurre i contenziosi tributari (la sanzione minima dovuta sarà comunque di 200 euro). Gli importi naturalmente lievitano se si persevera nell’omessa dichiarazione, con sanzioni 258 a 1.032 euro per le dichiarazioni fino al 2015 e da 250 a 1.000 euro per quelle dal 2016 in poi.
Quanto alla prescrizione, scatta dopo 8 anni a decorrere dalla data di “consumazione” del reato (che coincide con lo scadere dei 90 giorni ulteriori concessi al contribuente per inviare la dichiarazione). Mentre in caso di atti interruttivi l’omessa dichiarazione si estingue decorsi 10 anni.