In Italia quasi 3 milioni di persone coinvolte in lavoro irregolare nero o grigio, un fenomeno che si punta a ridurre nel prossimo triennio con un Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso
In Italia il cosìdetto lavoro sommerso riguarda quasi 3 milioni di persone, pari a un tasso di irregolarità del 12%, di cui un quarto attive nel lavoro domestico.
Si tratta di un fenomeno che il Piano Nazionale per la lotta al lavoro sommerso, pubblicato dal Ministero del Lavoro, si prefigge di contrastare nel prossimo triennio anche attraverso il raggiungimento di due obiettivi quantitativi consistenti nell’aumento, entro il 2024, del 20% delle ispezioni effettuato nel periodo 2019-21 e la riduzione del lavoro sommerso di almeno 2 punti percentuali nei settori oggetti del piano.
Per lavoro sommerso si intende sia quello completamente invisibile a livello giuridico, cioè il lavoro in nero, sia quello grigio, caratterizzato da rapporti formalmente regolari ma con elementi di irregolarità relativi, ad esempio, alle ore effettivamente svolte, alla qualificazione (false collaborazioni), alle forme di interposizione non genuine con l’utilizzo di appalti, distacchi e somministrazione in modo non conforme alle regole per ridurre i costi.
Secondo il Piano dove sono riportati i dati Istat, nel lavoro domestico l’indice di irregolarità supera il 50% e in questo settore si contano un quarto degli addetti non in regola.
Complessivamente nei servizi si contano 2,3 milioni di occupati irregolari, perché oltre all’ambito domestico si deve aggiungere il commercio, ristorazione e alloggi, attività professionali.
Agricoltura e attività artistiche hanno incidenza percentuale limitata sul totale, ma sono secondi per tasso di irregolarità (poco meno di un quarto degli addetti del comparto).
Su un totale di 2.993.900 di lavoratori irregolari emersi dai dati Istat, 781mila sono lavoratori domestici, seguiti poi da 333.600mila lavoratori nell’ambito del commercio, 261.500mila lavoratori nell’ambito immobiliare e professionale, 241.400 di lavoratori nell’industria manifatturiera e 241.300 lavoratori nell’ambito artistico e del divertimento. In fondo, con una quota di 1900 lavoratori, troviamo l’industria estrattiva.
Le attività di contrasto al fenomeno, delineata nel Piano nazionale, non si basa esclusivamente sull’aumento delle ispezioni per le quali si potrà contare su un consistente potenziamento del personale dell’ispettorato nazionale del lavoro.
Il documento indica delle soluzioni per migliorare l’impianto sanzionatorio attuale per contrastare ad esempio il dumping contrattuale, nonché l’introduzione di norme per rendere visibile chi opera in modo irregolare con ricadute negative sulla sua reputazione.
Oltre a ciò si prevede di sperimentare misure di politica attiva per i lavoratori più fragili, al fine di prevenire che vengano attratti dal lavoro irregolare.
Il Piano si concentra inoltre sul lavoro domestico che, come si legge: “l’azione ispettiva rappresenta un’opzione residuale” si punta in particolare a strumenti di promozione della legalità diversi dal controllo e dalla sanzione.
Tra le azioni da sviluppare vengono indicate la semplificazione degli adempimenti e la riduzione della gestione informale dell’incontro tra domanda e offerta, un utilizzo più mirato dell’indennità di accompagnamento che oggi viene erogata senza alcun vincolo di utilizzo, l’introduzione di un bonus legato all’Isee familiare per coprire parte del costo del lavoro domestico, una verifica dell’utilizzo del contratto di prestazione occasionale e il ripristino dei voucher per i datori di lavoro che sono cittadini privati e famiglie.
Nel 2021 l’economia sommersa e illegale è cresciuta del 10% in Italia, arrivando a un valore aggiunto di 192 miliardi di Euro, circa il 10,5% del Pil nazionale.
È un dato che ha anche degli aspetti positivi: come sottolineato dall’Istat nel suo nuovo rapporto sul tema, infatti, la percentuale rispetto al Pil è rimasta quasi invariata rispetto al 2020 ed è più bassa di quanto non fosse negli anni prima della pandemia (nel 2019 era all’11,3%).
Insomma, è aumentata l’attività economia irregolare, ma in buona parte è perché nel 2021 perché l’economia è ripartita dopo il Covid. In un anno il Pil è cresciuto del 9,7%, e l’economia non osservata del 10%.
L’economia sommersa, che è quella fatta di attività legali ma non dichiarate al Fisco, ha contribuito pe 174 miliardi di euro a questo dato, mentre gli altri 18 miliardi circa sono dell’economia illegale. Insieme, questi due gruppi formano la cosiddetta economia “non osservata”, che non risulta dalle rilevazioni ufficiali.
Quando si parla di economia sommersa ci si può riferire alle fatture più basse del dovuto o proprio non fatte (che sono valse circa 91,4 miliardi di euro), oppure al lavoro irregolare (che ha prodotto 68,1 miliardi di euro).
Ma troviamo anche affitti in nero, che nel 2021 sono calati rispetto al 2020 e anche le mance risultano nell’economia sommersa.
I settori in cui è più diffusa l’economia sommersa sono il commercio, trasporto, alloggio, ristorazione e le costruzioni.
Parlando invece di economia illegale, riguarda prettamente ambiti come la vendita di prodotti o servizi illegali, oppure a opera di persone che non sono autorizzate alla vendita.
Per esempio lo spaccio di sostanze stupefacenti, la prostituzione e il contrabbando di prodotti come le sigarette: queste attività sono cresciute del 5% in un anno, portando a 900 milioni di Euro in più.
Ci sono segnali di un cambiamento strutturale nell’economia sommersa italiana, poiché dal 2014 la sua incidenza sul Pil è sempre calata di anno in anno.
Negli ultimi due anni il lavoro irregolare ha iniziato a ridursi con più rapidità, mentre la sotto-dichiarazione come le fatture, scontrini ecc si è stabilizzata o che anzi abbia assunto un peso maggiore.
Nel 2020 infatti era pari al 45,6% del totale dell’economia sommersa, nel 2021 al 47,6%. Il sommerso è aumentato soprattutto tra i professionisti e i servizi alle persone.
Questo è confermato anche dal dato sui lavoratori in nero: nel 2021 erano 2 milioni e 990mila, per la maggior parte dipendenti ed erano 73mila in più al 2020.
Qui c’è stato un aumento dovuto soprattutto alla ripartenza dell’economia: infatti, il lavoro non regolare ha segnato una “crescita contenuta”, secondo Istat, pari al 2,5%.
Ciò non ha consentito di recuperare la caduta registrata in corrispondenza alla pandemia da Covid-19 (-18,4%) e, durante questo periodo in particolare, il lavoro in nero era crollato e nell’anno successivo non si è ripreso. Questo per l’Istat potrebbe segnalare che si va verso un ridimensionamento del fenomeno del lavoro irregolare.
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