L’istituto previdenziale è sempre più in difficoltà, il numero dei pensionati e dei contribuenti si equivalgono: 23 milioni, così i conti non tornano.
La crisi economica, il carovita, la disoccupazione, l’avanzata età anagrafica del paese, sono tutti fattori che contribuiscono ad affossare il sistema pensionistico italiano, anche le riforme che si sono susseguite nel tempo non hanno di certo aiutato e hanno contribuito a costituire un sistema fallace.
Nel 1945 con il governo Bonomi si fece la prima riforma delle pensioni, in cui il sistema a “capitalizzazione” che prevedeva che le pensioni venissero pagate con i contributi investiti (destinati a crescere col tempo) venne in parte convertito in un sistema a “ripartizione” in cui le pensioni vengono pagate con i contributi dei lavoratori (destinati invece a rimanere invariati) però data il contesto storico di quel momento, in cui l’economia era al collasso, probabilmente mantenere un sistema di capitalizzazione puro non avrebbe permesso di pagare tutte le pensioni. Discorso diverso va invece fatto per la situazione che viveva l’Italia nel 1969 in pieno boom economico, uno dei Governi Rumor decise con una nuova riforma di eliminare la parte di capitalizzazione che era sopravvissuta al governo Bonomi. Ma il colpo finale arriva con i primi anni del 1970, le baby pensioni (per le donne sposate bastano 14 anni e 6 mesi di contributi), le pensioni privilegiate per i militari e la legge Mosca del 1974 un sistema per sindacalisti e dipendenti di partito. Intanto il sistema a ripartizione mostrava le prime falle, il rapporto tra pensionati e lavoratori cresceva. Nel 1996 ci fu la riforma Dini che inserì un sistema “contributivo” e cioè la pensione sarà erogata in base ai contributi effettivamente versati e non in base alle ultime retribuzioni.
E così via fino a giungere alla riforma Berlusconi, Monti e Fornero che di certo non hanno migliorato la situazione.
La quota 100 appena sei anni dopo la riforma Fornero, è stata goccia che ha fatto traboccare il vaso; permette di andare in pensione a 62 anni con 38 anni di contributi, con la quota 102, 103 si è cercato di favorire i pensionati.
Si ignora che la situazione è ormai catastrofica, il collasso è dietro l’angolo; infatti, non può durare un sistema che su 23 milioni di lavoratori ci sono 23 milioni di pensionati. L’INPS è ora commissariata dal Governo Meloni e continua ad includere nel suo interno enti ormai all’osso, forse è il caso di abbandonare di ripartizione e tornare a quello di capitalizzazione per non essere costretti a misure drastiche come il taglio delle pensioni,
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