Torna la pace contributiva, con effetti immediati anche per la pensione: ecco come riscattare periodi scoperti da contribuzione.
Per pace contributiva si intende fondamentalmente la possibilità di riscattare alcuni periodi scoperti da contribuzione previdenziale. La nuova misura, valida per il biennio 2024/2025, non può tuttavia essere sfruttata da tutti. In generale, permette di riscattare fino a cinque anni di contributi per periodi privi di contribuzione. Come? Pagando un onere. Da qui la possibilità di utilizzare la fattispecie della pace contributiva per ottenere più facilmente una pensione.
In poche parole, grazie al pagamento di un onere di riscatto, anche i lavoratori con importanti carenze contributive, che per un motivo o per un altro non riescono a raggiungere i requisiti per accedere alla pensione, potranno avvicinarsi al traguardo. Cioè ottenere più facilmente il pensionamento o accrescere l’assegno previdenziale finale.
Come accennato, non tutti possono godere della pace contributiva. Le nuove regole stabiliscono che la misura è sfruttabile solo da coloro che risultano privi di versamenti al 31 dicembre 1995. Se fissato entro tale data, anche l’accredito figurativo di contribuzione, per esempio relativo al servizio di leva o degli anni della laurea, pregiudica l’operazione. E questo anche se richiesto dopo la domanda di riscatto.
Conviene pagare per poter ottenere un vantaggio sulla futura pensione? La pace contributiva, specie nelle varie ipotesi in cui è possibile con essa anticipare il pensionamento, ha senso. In più, va considerato come vantaggio effettivo la deducibilità fiscale del costo.
Ricapitolando: l’anzianità contributiva acquisibile per effetto della pace contributiva è utile sia ai fini del diritto che per l’importo della pensione. E c’è dell’altro. Per valorizzare dal punto di vista contributivo alcuni periodi specifici, sempre al fine di raggiungere prima il momento della pensione o rendere l’assegno previdenziale più sostanzioso, è possibile anche puntare al riscatto agevolato e ordinario degli anni di laurea.
Si tratta di una misura permanente che può essere abbinata alla pace contributiva (che è una misura sperimentale valida fino al 2025). Il riscatto della laurea consiste appunto nel versamento di un importo destinato ai contributi previdenziali per gli anni di studio universitario, come se fossero stati invece impiegati al lavoro.
Le somme versate per il riscatto della laurea sono deducibili dalle imposte dovute, oppure anche detraibili al 19% (se sostenute dai genitori per i figli). Quindi si ottiene anche un rimborso, proprio attraverso la deducibilità dei contributi pagati, che si possono inserire nel 730 o nella dichiarazione dei redditi.
L’onere del riscatto è calcolato ai sensi dell’art. 2, co. 5, del D.Lgs. n. 184/1997. Si tratta in pratica di usare il metodo percentuale. Si prendono come riferimento le retribuzioni percepite nelle ultime cinquantadue settimane antecedenti l’operazione. Tale valore va moltiplicato per l’aliquota contributiva IVS della gestione assicurativa presso la quale si esercita il riscatto con metodo dell’aliquota percentuale.
In ogni caso bisogna essere disposti a versare l’onere che va calcolato in base alla retribuzione imponibile degli ultimi dodici mesi (quelli precedenti la data della domanda) L’aliquota da applicare all’imponibile è variabile. Si prende come riferimento quella in vigore nel fondo previdenziale dove opera il riscatto.
Per i lavoratori dipendenti (FPLD), per esempio, l’aliquota è del 33%. Il corrispettivo da pagare può essere sempre rateizzato, ma solo se i periodi da riscattare non servano per andare in pensione subito.
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