La definiscono un paradosso o una trappola: ecco come la manovra del taglio del cuneo fiscale può far perdere tanti soldi.
La Legge di Bilancio 2024 ha confermato l’aumento del taglio del cuneo fiscale. E tale misura sta facendo molto discutere sia per la sua provvisorietà (sarà in vigore per un solo anno) sia per un paradosso insito nella normativa. Il Governo ha infatti deciso che il taglio sarà incrementato al 7% per i redditi fino a 25.000 euro e al 6% per quelli fino a 35.000 euro. Quest’ultima quota sarà quindi soggetta a una riduzione dell’agevolazione.
Le categorie che beneficeranno maggiormente della misura, presentata come un vero e proprio caposaldo della politica economica del Governo Meloni, sono gli operai e gli under 35. Tuttavia, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha avvertito su una possibile trappola insista nel taglio al cuneo fiscale. Ecco di cosa si tratta.
In pratica, superata anche di un solo euro la soglia dei 35.000 euro di reddito per cui è prevista la decontribuzione, arriva puntuale la “fregatura”, ovvero la possibilità di perdere ben 1.100 euro. In virtù di ciò, converrebbe, paradossalmente, guadagnare di meno.
Eccolo dunque il paradosso, evidenziato subito dalla presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari. Durante la presentazione dell’aumento del taglio del cuneo fiscali davanti alle Commissioni Bilancio congiunte, la Cavallari ha infatti spiegato che la modalità per fasce fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro.
E cosa significa, in termini pratici, questa cosa? Conti alla mano, superando anche di un euro la soglia dei 35.000 euro si verificherebbe una perdita sostanziale, pari 1.100 euro circa. E così, nonostante l’aumento del taglio del cuneo fiscale, i contribuenti sarebbero posti di fronte a un limite netto al beneficio.
Tutto ciò solleva enormi interrogativi sul reale impatto positivo della misura, soprattutto per coloro che superano la soglia dei 35.000 euro lordi. La riduzione di 7 punti percentuali è applicata mensilmente ai lavoratori la cui retribuzione di riferimento non supera i 1.923 euro. Parliamo ovviamente di imponibile previdenziale determinato mensilmente e comprensivo del rateo di tredicesima. Cioè circa 25.000 euro annui, considerate le tredici mensilità.
Se si supera la quota critica, se ne perdono 1.100, di euro. Lo sconto previsto dal taglio scende infatti al 6 per cento sull’intera retribuzione quando il guadagno supera la soglia. Fino all’importo di 2.692 euro: cioè circa 35.000 euro annui.
Tale sconto non si applica alla tredicesima, ed è per questo che avviene qualcosa di imprevisto nell’incidenza effettiva, che è di 6,5 e 5,5 punti percentuali nelle due fasce di decontribuzione (25.000 e 35.000 euro).
Lo sgravio raggiunge un massimo di circa 1.600 euro in corrispondenza del limite superiore della prima fascia. In corrispondenza di quello della seconda raggiunge un massimo di poco più di 1.900 euro. Ma l’applicazione dello sconto in modo graduale per fasce, anziché per scaglioni, dà il via una dinamica assai particolare e pericolosa.
Superando la prima fascia di solo un euro scatta la riduzione dell’agevolazione di circa 150 euro, che influisce così in modo limitato il reddito disponibile. In contrasto, la riduzione del reddito disponibile risulta molto più significativa, pari a circa 1.100 euro, nel caso in cui la retribuzione lorda superi la soglia critica di 35.000 euro.
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