Ansia e depressione possono incidere fortemente sulle possibilità di morire per cancro: lo dimostrano più di 40 anni di studi.
È sicuramente il peggiore degli incubi, ma grazie ai progressi fatti dalla ricerca sappiamo che oggi per molte forme di tumore le possibilità di guarigione sono piuttosto alte. Nonostante tale consapevolezza, è del tutto comprensibile che ricevere una diagnosi di questo genere rappresenti sempre un momento molto complesso. Il cancro più diffuso tra la popolazione femminile è quello al seno, sul quale alcuni ricercatori russi hanno evidenziato un aspetto molto importante.
Questi scienziati hanno osservato i risultati di una lunga serie di studi sull’argomento, che vanno dal 1977 al 2018. Ciò che è emerso dal loro lavora conferma l’influenza dei problemi mentali sul buon esito del percorso di guarigione nelle donne affette da tumore alla mammella. Tra le pazienti che soffrono di depressione il tasso di mortalità è più elevato e, se si considera che nel mondo circa 3 donne su 10 colpite dalla malattia sviluppano questo disturbo, ne consegue che è fondamentale che ricevano un sostegno anche dal punto di vista mentale.
Fin dalla prima diagnosi di cancro al seno sarebbe doveroso analizzare anche la psiche della paziente, in modo da intervenire tempestivamente ed impedire che l’ansia o la depressione possano ripercuotersi negativamente sull’esito delle cure. Non è affatto raro, infatti, che una donna in stato depressivo sia meno propensa a seguire i vari trattamenti.
Lo studio sarà illustrato in occasione del Congresso dell’Associazione Psichiatrica Europea 2024 e mette in luce un dato che deve far riflettere: la depressione, a cui va soggetto dal 4,5% al 36% delle donne che ricevono una diagnosi di cancro al seno, aumenta anche del 50% il rischio di mortalità. Limitandoci solo alle pazienti con tumore al primo stadio, il pericolo raddoppia in caso di disturbi psicologici.
È stato poi riscontrato che le donne con cancro non metastatico, affette da depressione o disturbi d’ansia leggeri o comunque modesti, corrono un rischio 2 volte e mezzo maggiore di morire nel periodo che va dagli 8 ai 15 anni dopo l’operazione. Quelle che invece non risultavano soffrire di problemi mentali o avevano soltanto sintomi lievissimi ce l’hanno fatta a superare la malattia molto più facilmente.
Affinché il percorso di guarigione dia i risultati sperati, è quindi necessario che la paziente sia seguita con attenzione anche per quanto riguarda il suo stato mentale. Da questo può dipendere il suo futuro.
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