Come agire in maniera corretta quando siamo mobbizzati al lavoro? Quello che c’è da sapere per muoversi senza fare errori.
Mobbing, una pratica odiosa oltre che molto dolorosa per il lavoratore che consiste in una serie di comportamenti vessatori messi in atto dal datore di lavoro, da un superiore gerarchico o da un collega, che mirano a umiliare e isolare il dipendente dal contesto lavorativo.
Lo scopo di questo “pressing” psicologico non è altro che il tentativo di spingere il lavoratore a rassegnare le dimissioni o quello di farlo crollare sul piano psicofisico.
Come ormai stabilito dalla giurisprudenza, a partire da una sentenza del 2000 (la numero 143) della Cassazione, il mobbing sul luogo di lavoro rappresenta un “danno psichico” che obbliga il responsabile (il datore di lavoro) a risarcire la vittima. È sul datore di lavoro infatti che ricade l’obbligo di tutela dell’integrità fisica e morale dei dipendenti (ha anche l’obbligo di vigliare sulla condotta dei dipendenti che dovessero eventualmente mobbizzare i colleghi).
Ma come si fa a far valere i propri diritti quando si è vittima di mobbing? Intanto bisogna capire se si tratta di mobbing, per configurare il quale dobbiamo essere in presenza di una serie di vessazioni o di violenze morali o materiali, prolungate nel tempo in maniera frequente, ripetuta e sistematica (almeno 6 mesi o 3 nel caso di “quick mobbing” dove attacchi intensi e frequenti si alternano a momenti di inoperosità).
Deve anche esserci la volontà dolosa di danneggiare il lavoratore attraverso comportamenti vessatori che mirano a isolarlo, emarginarlo e mortificarlo (per esempio non convocandolo alle riunioni aziendali, demansionandolo, ecc.).
Non bastano insomma singoli episodi isolati, il mobbing deve essere continuo. Dimostrare la presenza del mobbing spetta al lavoratore che deve fornire la prova di essere stato vittima di ingiusti provvedimenti disciplinari, di aver subito continui rimproveri senza giustificazione davanti ai colleghi o di essere stato demansionato o trasferito in maniera ingiustificata da una sede all’altra, sovraccaricato di lavoro, ecc.
In concreto chi ritiene di essere stato mobbizzato dovrà raccogliere testimonianze del mobbing (utile tenere un diario degli episodi di mobbing comprensivo di data, testimoni presenti, documenti, mail, appunti, ecc.).
Importante è anche tenere traccia scritta delle richieste inoltrate a superiori e colleghi (lo stesso vale per le comunicazioni ricevute, incluse le mail offensive o con ordini di servizio non pertinenti, se ci sono). In sostanza gli ordini ricevuti verbalmente vanno trasformati in interrogazioni scritte (chiedendo conferma per iscritto a ordini ricevuti a voce). Poco importa se (come succede spesso) alla richiesta scritta non segue una risposta: anche la mancata risposta può rientrare nelle prove che attestano una degenerazione dei rapporti lavorativi. Possiamo anche chiedere, come è nostro diritto, una copia degli atti di ufficio che ci riguardano.
Nel caso in cui la situazione lavorativa porti a conseguenze negative per la salute, bisogna contattare subito un medico in modo da certificare la cosa, non esitando a mettersi in malattia dietro prescrizione medica. Inoltre sarà indispensabile trovare persone disposte a testimoniare (anche ex colleghi, che magari potrebbero essersi dimessi “spontaneamente” dopo aver subito lo stesso nostro trattamento). Importante anche segnalare gli abusi all’interno dell’azienda e, infine, non rassegnare le dimissioni (spesso e volentieri è proprio questo lo scopo del mobber, che in questo modo ci fa perdere, oltre al lavoro, anche la possibilità di essere risarciti).
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