Ai fini del calcolo della busta paga, sono considerate giornate festive le domeniche e le festività nazionali stabile per legge: cosa avviene invece per le feste soppresse?
Le festività nazionali sono pause retribuite dal lavoro. In pratica, solo durante le festività e la malattia giustificata, di norma, il dipendente non lavora ma percepisce ugualmente la retribuzione. Il punto è che in Italia si lavora sempre di più: fino a qualche anno, fa i giorni festivi erano molti di più di quelli attuali…
Si definiscono infatti ex festività, o festività soppresse, tutti quei giorni del calendario che fino al 1977 erano considerati festivi. Giorni che adesso, invece, sono diventati feriali e quindi lavorativi. Come trattare per legge le ex festività, o festività soppresse?
Che significato hanno questi giorni per i lavoratori e che tipo di conseguenze portano in busta paga? Si tratta, insomma, di stabilire se per tali giornate spetti ancora qualcosa ai dipendenti. E poi di capire quale calendario è attualmente in vigore secondo le norme attuali.
Bisogna partire da un dato fondamentale: anche se non sono più delle vere e proprie feste, le festività soppresse hanno comunque un valore diverso rispetto ai giorni feriali. Il legislatore ha cancellato alcune vecchie festività, ma ha stabilito che per esse, esclusivamente se trascorse al lavoro, il dipendente può maturare un permesso retribuito. Il tutto, rimandando alla contrattazione collettiva la definizione dei termini e delle modalità di utilizzo.
Le ex festività, oggi soppresse, sono cinque. E tutte e cinque, se non cadono di domenica, hanno un peso in busta paga per il lavoratore. Tutto ciò a patto che il contratto collettivo di riferimento contempli questa possibilità. Le festività ancora in vigore e ancora riconosciute dallo Stato come giorni in cui non si lavora sono invece tre. Si tratta della Festa della Liberazione (25 aprile), della Festa dei Lavoratori (primo maggio) e della Festa della Repubblica (2 giugno).
Oltre alle festività civili riconosciute per legge, di norma non si dovrebbe lavorare nemmeno nelle festività religiose cattoliche che lo Stato italiano tratta come giorni di festa inalienabili. E cioè l’Immacolata, Santo Stefano, Capodanno, Epifania, Pasqua, Pasquetta, Ferragosto e Ognisanti: tutti giorni durante le quali ai lavoratori spetta il diritto ad astenersi dall’attività lavorativa.
Per quanto riguarda le festività soppresse, un tempo lo Stato permetteva di assentarsi anche nel giorno di San Giuseppe (19 marzo), in quello dell’Ascensione (18 maggio), durante la Festa dell’Unità Nazionale (4 novembre), nel giorno del Corpus Domini (8 giugno) e nel giorno di San Pietro e Paolo (29 giugno).
Tali festività erano disciplinate dalla legge 269/1949. Ma nel 1977 lo Stato le ha abrogate senza essere mai più ripristinarle. Ma, come anticipato, pur non essendo più riconosciute come giornate in cui ci si può astenere dal lavoro, le festività soppresse hanno ancora un peso in busta paga. Questo perché vengono trasformate in permessi retribuiti.
La maggior parte dei contratti collettivi stabilisce che qualora una ex festività dovesse cadere durante un giorno lavorativo, il monte dei permessi retribuiti indicato in busta paga dovrà contemplare un’ulteriore giornata, di cui il dipendente potrà dunque godere in un successivo momento.
AirTag 2, in arrivo nel 2025, promette miglioramenti significativi in prestazioni e sicurezza, mantenendo il…
Le economie dell'Europa dell'Est, colpite dal rallentamento tedesco e dalla crisi industriale, affrontano sfide significative,…
Weekend turbolento per i viaggiatori italiani: uno sciopero di 24 ore senza fasce di garanzia…
Brembo riporta ricavi di 2,93 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2024, con…
Mara Venier condivide le sue fragilità e esperienze dolorose in un'intervista, affrontando temi di violenza,…
Scopri le migliori lavatrici economiche sotto i 350 euro, con prestazioni elevate e caratteristiche essenziali…